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Invecchiamento, forza lavoro e demografia: il contesto

La previsione pubblicata dall’ISTAT parte da un dato ormai consolidato: l’Italia — come molti Paesi sviluppati — sta vivendo un processo di invecchiamento della popolazione. Ciò significa che non solo l’età media aumenta, ma soprattutto che le fasce di popolazione “anziana” diventano via via più numerose rispetto a quelle in età lavorativa.

Questo fenomeno è accompagnato da altri trend importanti: basso tasso di natalità, riduzione progressiva della popolazione in età 15-64 anni, allungamento della vita media. (Si veda ad esempio come la popolazione residente sia prevista in calo nel tempo. ) In questo contesto, la fascia 15-64 anni — quella che tradizionalmente viene considerata “in età lavorativa” — perde peso sia in termini percentuali che assoluti. L’ISTAT ha dunque sviluppato un modello che, tenendo conto di tassi di attività (per genere, età, ripartizione geografica), normativa pensionistica, tendenze scolastiche, applica tali previsioni demografiche per stimare l’andamento delle forze lavoro fino al 2050.

I principali numeri della previsione

Ecco alcuni dei passaggi più rilevanti della previsione:

  • La quota della popolazione tra 15 e 64 anni sul totale è scesa dal 66,7 % nel 2004 al 63,5 % nel 2024 (‐3,2 punti) e si prevede che arrivi al 54,3 % nel 2050 (‐9,1 punti rispetto al 2024).
  • Per gli uomini, la quota 15-64 anni scende dal 68,6 % nel 2004 al 65,2 % nel 2024, arrivando al 57,1 % nel 2050; per le donne da 64,9 % a 61,8 % e poi al 51,6 %.
  • Il tasso di attività (la percentuale della popolazione in età lavorativa che effettivamente partecipa al mercato del lavoro) è aumentato dal 62,5 % del 2004 al 66,6 % nel 2024, trainato in particolare dalla maggiore partecipazione femminile. Tuttavia, l’Italia resta sotto altri grandi paesi europei.
  • Nel 2024: tasso attività maschile = 75,6 %, femminile = 57,6 % (divario di 18 punti). Nel 2050: previsione di tasso attività totale = 73,2 %, uomini = 79,3 %, donne = 66,5 % (divario che si riduce, ma rimane significativo).
  • Differenze territoriali: Nord-Ovest e Nord-Est prevedono tasso attività nel 2050 intorno al 78 %; il Centro converge verso ~77,5 %. Il Mezzogiorno, pur crescendo, resta molto più basso: previsione di ~61,9 % nel 2050.
  • Dimensione assoluta delle forze lavoro: la popolazione 15-64 anni si riduce da ~37,2 milioni nel 2024 a meno di 30 milioni nel 2050 (‐21 %). In particolare: uomini 18,7 → 15,5 milioni (‐17 %); donne 18,6 → 14 milioni (‐24,4 %).
    La popolazione attiva (occupati + disoccupati) scende più contenuta: uomini attivi da 14,1 → 12,3 milioni; donne attive da 10,7 → 9,3 milioni (~ -13 % per entrambi). Gli inattivi calano più fortemente: donne inattive da 7,9 → 4,7 milioni (‐40,3 %); uomini inattivi da 4,5 → 3,2 milioni (-29,6 %).
  • Anche a livello territoriale, il Mezzogiorno mostra la flessione più elevata sia per attivi che per inattivi.
    Questi numeri restituiscono un quadro chiaro: più tassi di attività, certo, ma in un contesto di base demografica che riduce la “platea” su cui far leva.

Cosa vuol dire per il mercato del lavoro e per leconomia

Le implicazioni sono molte e complesse:

  • Offerta di lavoro ridotta: meno persone in età lavorativa significa che, anche se tutti partecipassero, la “forza lavoro potenziale” del Paese diminuisce. Ciò può mettere pressione sulla capacità produttiva, sull’innovazione, sulla crescita economica.
  • Sostenibilità del sistema pensionistico e del welfare: se la componente che lavora – versando contributi, generando valore – è più piccola rispetto a quella che usufruisce di pensioni o servizi di welfare (anziani, dipendenti da assistenza), la pressione sui conti pubblici può aumentare.
  • Partecipazione femminile e differenze di genere: l’aumento del tasso di attività femminile è un elemento positivo di potenziale compensazione. Ma il divario di genere e le condizioni diverse (anche geografiche) indicano che c’è molto margine di miglioramento.
  • Disparità territoriali: il forte ritardo del Mezzogiorno non solo è una questione sociale, ma rappresenta un freno alla coesione e alla crescita complessiva del Paese.
  • Qualità e natura del lavoro: una forza lavoro più “anziana”, una platea più piccola, possono richiedere politiche attive di formazione, aggiornamento, flessibilità, perché l’occupazione non sarà solamente una questione di quantità, ma anche di adattamento ai mutamenti (tecnologici, organizzativi).
  • Ritardo nellingresso al lavoro e istruzione: come evidenziato nel contesto presentato, se i giovani entrano più tardi nel mondo del lavoro a causa di maggiore scolarizzazione o formazione, la fascia lavorativa effettiva si restringe ulteriormente.
    In definitiva, anche l’incremento previsto del tasso di attività (ad esempio +6,6 punti percentuali fino al 2050) è positivo ma non compensa interamente il calo demografico della popolazione in età lavorativa.

Quali politiche servono – qualche spunto

Alla luce del quadro, emergono alcune priorità politiche:

  1. Promuovere la partecipazione al lavoro: in particolare delle donne, dei giovani, degli adulti in età più avanzata (lavoratori over 50/55) e nelle aree territoriali più svantaggiate.
  2. Formazione continua e lavoro flessibile: in un contesto di forza lavoro più anziana, è fondamentale aggiornare competenze, facilitare il mantenimento nel mondo del lavoro, creare lavori “age-friendly”.
  3. Incentivi alla natalità e immigrazione qualificata: per invertire (o almeno attenuare) la tendenza demografica negativa. È chiaro che da sola la partecipazione non basta se la base demografica si restringe.
  4. Politiche territoriali mirate: il Mezzogiorno richiede interventi mirati, infrastrutture, occupazione strutturale per ridurre il divario.
  5. Riforme del sistema pensionistico e del welfare: che tengano conto del cambiamento demografico e della necessità di sostenibilità, ma anche della qualità della vita lavorativa e post-lavorativa.
  6. Innovazione e produttività: con meno forza lavoro disponibile, aumentare la produttività diventa ancora più cruciale; puntare su settori di valore aggiunto, digitalizzazione, automazione (ma con il giusto bilanciamento umano) può essere un modo per compensare la minore quantità con maggiore efficacia.

Limiti e avvertenze

È bene ricordare che le previsioni — come lo stesso ISTAT sottolinea — non sono certezze, ma scenari basati su ipotesi (“what-if”). Le ipotesi riguardano tassi di attività, scolarizzazione, normativa pensionistica, immigrazione, ecc. Più ci si allontana nell’arco temporale (fino al 2050), maggiore è l’incertezza. La demografia, i comportamenti sociali, le politiche economiche e tecnologiche future possono cambiare molto.
Inoltre, anche all’interno delle stesse previsioni ci sono differenze territoriali e di genere che mostrano che il “problema” non è uniforme: alcune aree o gruppi possono reagire meglio, altre peggio.
Infine, la previsione riguarda la quantità della forza lavoro potenziale, ma poco o niente su quali saranno le competenze esatte richieste, quali settori cresceranno o diminuiranno, quale sarà l’impatto della tecnologia o dell’automazione. Questi elementi andranno considerati insieme.

Trasformazione demografica profonda

L’Italia si trova di fronte a una trasformazione demografica profonda che ha implicazioni immediate e di lungo termine per il mercato del lavoro, il welfare, la crescita economica. La previsione dell’ISTAT mette in luce che, nonostante i segnali positivi (maggior partecipazione femminile, tassi di attività in crescita), la base demografica su cui poggia la forza lavoro si riduce in maniera significativa.
In sintesi: non basta “più gente al lavoro”, serve anche meno - ma più produttiva e più qualificata forza lavoro, una partecipazione più omogenea (anche per genere e territorio), e un sistema di politiche integrate che vada dalla formazione al welfare, dalla natalità all’immigrazione, fino all’innovazione.
Il 2050 non è così lontano — e le scelte di oggi potranno fare la differenza per il Paese di domani.

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