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Roberta Zappalà: donne "in rete" alla ricerca dell'indipendenza perduta

«Le donne hanno bisogno di stare in contatto tra loro. Secondo Adrienne Rich, poetessa femminista americana "i legami tra le donne sono i più temuti, i più complessi e rappresentano la forza parzialmente più trasformatrice del pianeta". Questa interessante osservazione può spiegare il disagio che avvertono molti uomini quando le donne si ritrovano tra loro. Pensano che siamo lì a complottare, e in alcuni casi hanno ragione», così scrive Isabel Allende in Donne dell'anima mia (Feltrinelli 2020).

Di fatto, ancora oggi, bisogna lavorare molto per il raggiungimento dei diritti delle donne, in una società contemporanea che tende ancora a reputare l’elemento femminile come "fragile", se non inferiore; e le cronache, quotidianamente, possono dare conferma di questa amara quanto palese mia affermazione.

Ma alla vigilia di un mondo che "respira in rete", le donne siamo capaci di "fare rete", nella realtà reale come in quella virtuale, per comunicare realmente la nostra identità di genere? Siamo solidali con noi stesse e, dunque, con altre donne o cerchiamo ancora di "vendicarci" per i secoli di oblio cui siamo state relegate?

A giudicare dai recenti echi sanremesi pare che non siamo di parere unanime neppure sull'uso della lingua italiana, se reputiamo che "direttrice d’orchestra" non abbia la stessa valenza socio-semantica di un "direttore d’orchestra".

Certo, ognuna è libera di usare un sostantivo maschile inclusivo o non marcato per autodefinirsi, senza incorrere nei legittimi strali della Crusca: però, a mio avviso, da qui il passo è molto sottile, al netto di ogni polemica e di ogni “cavillo” linguistico, nel reputare una "direttrice" inferiore rispetto a un "direttore".

Le parole hanno un "peso specifico” a seconda del contesto e suoni al femminile armoniosi; non seguono soltanto una grammatica normativa. Sono impopolare, lo so! Ma, dopo i recenti echi del direttore Beatrice Venezi rimbombati in ogni tabloid, mi sono chiesta, dunque, se fosse il caso di farmi ribattezzare dottore in Lettere. La risposta mi è arrivata "in un battito di sinapsi": io sono fieramente una "dottoressa in Lettere classiche" e il declinarlo al femminile mi ricorda che per un lunghissimo periodo di tempo, le donne sono state escluse da ogni professione e senza possibilità alcuna di realizzazione nella società, ecco perché prevale anche l'uso del maschile. E ancora oggi, in moltissime aree del mondo è così, senza in verità per forza andare troppo lontano dalle nostre piccole realtà cittadine o di quartiere. Poi, io personalmente, sono un caso "atipico": non mi importa tanto del titolo, perché io sono prima di tutto Roberta Zappalà, donna e siciliana: sono le mie azioni di donna libera a definire il mio ruolo nella società, che si esplica nello specifico, ogni giorno, anche aiutando a riflettere le proprie studentesse e gli studenti, in classi reali come in quelle virtuali, sul valore della ricerca di un’autentica indipendenza per tutti e per ciascuno. In questo 8 marzo, posso definirmi una donna che vuole rimanere libera da etichette e una dottoressa, termine che peraltro esiste in lingua italiana, esattamente come direttrice.

 

Roberta Zappalà

Insegnante di Lettere al Liceo delle Scienze Umane “M. T. De Vincenti” di Rende (CS)

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