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Caterina Biafora: unite, vinceremo

Il Presidente della Repubblica Mattarella ha dichiarato di recente che in Italia la “parità uomo-donna non è ancora pienamente raggiunta”, e allora che cosa possiamo fare? Ritengo che non si possa risolvere il problema della discriminazione se non si debella la violenza di genere nella sua globalità.

Tutte le forme di discriminazione contro le donne, compresa la violenza di genere, costituiscono, infatti, un vero ostacolo alla parità tra donne e uomini.

La violenza di genere costituisce nel mondo un fenomeno diffuso e trasversale, indicativo della disuguaglianza e della asimmetria dei rapporti tra uomini e donne. 

Detta disparità trae origine dal patriarcato e dal tentativo di sottomissione della donna in tutti gli aspetti socio-economici e culturali.

La discriminazione rappresenta una delle violazioni più gravi dei diritti umani che danneggia l’intera società e può colpire in modo sproporzionato ogni genere, e può comprendere qualsiasi forma.

La violenza di genere si estrinseca, infatti, in ogni atto idoneo a cagionare danni e/o sofferenze che possono essere di natura sessuale, fisica, psicologica, ma anche economica, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà che può avvenire sia nella vita pubblica che in quella privata.

La discriminazione contro le donne e si realizza soprattutto nelle relazioni di intimità e può determinare anche gravi pregiudizi soprattutto ai figli minorenni esposti alla violenza (cd. violenza assistita). 

Secondo la Convenzione di Istanbul la violenza domestica “designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partners, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”.

Una forma particolare di violenza domestica diffusa nell’ambiente femminile è la violenza economica, che si configura ad esempio quando il partner controlli l’uso del denaro, impedisca alla propria compagna e/o consorte di lavorare esternamente, o di investire o gestire o di avere autonomamente un proprio patrimonio.

La Convenzione in oggetto statuisce, inoltre, che “la violenza diretta contro una persona a causa del suo genere comprende: la violenza nelle relazioni strette, la violenza sessuale, la tratta di esseri umani, la schiavitù, i matrimoni forzati, la mutilazione genitale femminile e i cosiddetti “reati d’onore”.

Esistono, quindi, vari tipi di violenza: quella Fisica, Psicologica, Economica, Assistita, Domestica.

L’Italia, purtroppo, non è immune da tali fenomeni.

Oggi sono ancora troppe le disparità di genere che penalizzano la posizione della donna in tutti gli ambiti: sociale, familiare, economico, sociale e politico. 

Nonostante, infatti, l’uguaglianza formale vi è ancora molto da fare in termini di prevenzione, di contrasto degli stereotipi di genere, di educazione, di formazione, di linguaggio, di equa retribuzione, di accesso alle cariche direttive e alle possibilità professionali.

In Italia, secondo ultimi dati Istat:

  • il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della propria vita una forma di violenza fisica o sessuale
  • le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner o ex partner, parenti o amici
  • il 62,7% degli stupri sono stati commessi da partner
  • il 54,9% degli omicidi di donne sono commessi da un partner o ex partner, il 24,8% da parenti, nell’1,5% dei casi da un’altra persona che la vittima conosceva (amici, colleghi, etc.)
  • nel periodo 1 marzo-16 aprile 2020 le chiamate al numero antiviolenza 1522 sono state 5.031, il 75% in
  • nel periodo compreso tra marzo e giugno 2020 il numero delle chiamate sia telefoniche sia via chat al numero antiviolenza 1522 è più che raddoppiato rispetto al 2019.

Alla luce dei predetti dati è evidente che durante la pandemia Covid-19 è aumentata anche in Italia la violenza domestica contro le donne, in quanto le famiglie trascorrendo più tempo insieme sono sempre più a contatto tra loro e, dunque, aumenta il rischio di abuso e di controllo da parte dell’uomo, soprattutto quando questi perde il lavoro o subisce altre conseguenze economiche negative.

Durante l’emergenza pandemica in Italia, quindi le distanze tra uomo e donna continuano ad essere sempre più profonde.

Per combattere tale forma di violenza occorre, dunque, da un lato intensificare la rete di protezione, per aiutare le donne che intendono liberarsi dalla violenza domestica, e dall’altro diffondere un’educazione che porti al rispetto dell’amore, della persona e della libertà, perché non vi può essere amore se vi è prevaricazione, controllo, annientamento del partner.

Se non vi è una corretta formazione ed informazione sin da piccoli non potranno mai essere sradicati tutti i pregiudizi nei confronti delle donne.

In base ad una ricerca Ipsos, effettuata in occasione della Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne 2020, su un campione di ragazze e ragazzi tra i 14 e i 18 anni, al fine di rilevare la percezione degli stereotipi di genere nelle opinioni e nei comportamenti degli adolescenti in Italia è emerso, infatti, che:

  • il 39% è esposto online a contenuti che giustificano la violenza contro le donne (31% maschi; 48% femmine)
  • il 41% delle ragazze ha visto postare dai propri contatti social contenuti che l’hanno fatta sentire offesa e/o umiliata come donna, e di queste un 10% si è sentita maggiormente esposta durante il lockdown
  • il 15% degli adolescenti (il 21% i maschi e il 9% le ragazze) pensa che le vittime di violenza sessuale possano aver contribuito a provocarla attraverso il loro modo di vestire e/o di comportarsi
  • il 57% degli intervistati pensa che la bellezza femminile possa essere uno strumento per il successo
  • il 40% dei maschi contro il 21% delle ragazze sostiene che affermarsi nel mondo del lavoro sia più importante per i maschi che non per le femmine
  • 1 ragazza su 10 e 1 ragazzo su 5 è convinto che l’istruzione universitaria sia più importante per un ragazzo che per una ragazza 
  • il 54% dichiara di essersi sentita svantaggiata rispetto al coetaneo maschio per il solo fatto di essere una femmina
  • il 70% delle intervistate dichiara di aver subito molestie o apprezzamenti sessuali
  • Il 31% è stata palpeggiata in luoghi pubblici 

L’analisi di questi dati ci porta, pertanto, a riflettere perché i ruoli di genere minano la libertà del singolo in quanto possono influenzare le scelte individuali e conseguentemente il futuro delle donne e degli uomini.

Ciò ci induce ad intensificare la prevenzione della violenza di genere, coinvolgendo gli stessi adolescenti al fine di trovare con loro le modalità più efficaci per eliminarla e per assicurare la libertà e la parità tra le parti a prescindere dal sesso e fin dalla più giovane età al fine di eliminare gli stereotipi e determinare così una vera e propria modifica culturale di pari effettiva opportunità per tutti.

In Italia le donne subiscono gli effetti della discriminazione di genere anche nel mondo del lavoro, sebbene l’art. 37 della Corte Costituzionale sancisce che la donna lavoratrice debba avere: “gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.

Nel nostro ordinamento pur essendo garantito il diritto alla parità di opportunità e di eguale trattamento nell’accesso al lavoro, nelle condizioni di impiego e di lavoro, nell’orientamento, nella formazione professionale, nelle progressioni di carriera, nelle promozioni e nonostante sia vietata ogni forma di discriminazione sia diretta che indiretta.

Si registrano, infatti, frequentemente atti, comportamenti o prassi che pregiudicano le lavoratrici che sovente si sacrificano per farsi carico della gestione della casa, della famiglia, dei figli o dei genitori anziani, e ancor di più durante il lockdown.

La crisi economica scaturita dalla pandemia ha penalizzato, ancora una volta le donne; basti pensare che una donna su quattro, secondo un recente studio di Mckinsey, valuta, infatti, di cambiare lavoro o lasciarlo del tutto.

La diffusione del Covid 19 ha imposto alle donne lavoratrici modifiche anche sull’organizzazione del lavoro; secondo le statistiche durante il lockdown sono sempre di più le donne che vengono messe a lavorare a distanza.

Sussistono, inoltre, dinamiche di marginalizzazione e discriminazione non solo nelle modalità di svolgimento del lavoro ma anche nell’ambito della scelta delle attività lavorative che il più delle volte vengono individuate in base alle esigenze di famiglia anche laddove le aspirazioni siano altre.

Un altro dei punti più critici del mondo lavorativo femminile è, inoltre, il c.d. gender payment gap, ovvero la disparità reddituale a parità di orario di lavoro e di prestazioni.

Tra uomini e donne in Italia il salario non è alla pari ma vi è la differenza, a discapito delle seconde, pari al 23,7 %. 

Tale discriminazione pongono le donne in situazioni di precarietà non solo nel corso della loro attività lavorativa, ma anche dopo il pensionamento; esiste un divario pensionistico di genere del 36.6%.

Le donne lavoratrici, inoltre, tendono a rimandare la maternità molte volte proprio per paura di perdere il lavoro, per la preoccupazione di non avere un reddito sufficiente ma anche per la ridotta offerta di servizi sociali destinati al sostegno delle loro famiglie.

Ciò ha prodotto un sistema di diseguaglianze che si perpetua nelle società contemporanee anche nell’uso del tempo libero delle donne che è sensibilmente inferiore per le lavoratrici madri rispetto a quello dei lavoratori padri.

Per tutte queste ultime ragioni l’Unione Europea ha riaffermato di recente in Consiglio la necessità quanto meno di ridurre la differenza tra uomini e donne nel lavoro, nell’educazione e nella protezione sociale, affinché tutti senza distinzione di genere possano conciliare le esigenze del lavoro con quelle della famiglia.

Ciò sarà possibile intensificando l’offerta dei servizi a favore dell’infanzia, rafforzando le modalità di lavoro flessibili come quello a distanza e promuovendo la partecipazione delle donne al processo decisionale, favorendo le donne nei consigli di amministrazione.

La leadership femminile rappresenta un valore non sfruttato dalla società italiana; sono sottorappresentate in politica, nelle organizzazioni internazionali, nei ministeri.

Eppure è stato dimostrato che l’incremento della presenza femminile nel panorama lavorativo, politico e sociale non costituirebbe un danno per l’Italia in quanto migliorerebbe l’efficienza incrementando i risultati economici, finanziari e sociali e, dunque, garantendo un maggiore benessere economico oltre che una società più equa.

L’aumento delle quote rosa sul mercato del lavoro in generale, e delle donne con ruoli verticistici nelle imprese e nelle istituzioni rappresenterebbe uno dei possibili strumenti per conseguire la pari opportunità tra uomini e donne. 

Il potenziale e i talenti delle donne devono essere, quindi, utilizzati più largamente e più efficacemente.

Anche le donne migranti che vengono da noi in Italia a rischio di mutilazioni genitali femminili (MGF) sono donne all’interno di una disparità di potere in cui quella forma gravissima di violenza di genere che si esprime con quella particolare violazione che sono appunto le mutilazioni genitali femminili 

Su questa forma tipica di violenza maschile contro le donne è stato fatto ancora troppo poco.

È sbagliato dire che sono le donne che la praticano perché le MGF hanno senso all’interno di una società di privare le donne della loro libera sessualità e, quindi, non è un interesse femminile togliere e quindi non è interesse delle donne togliere la libera sessualità alle loro figlie ma è quello che è considerato dalle società l’unico modo per farle stare accettate all’interno della società così come 30 anni fa era accaduto a Franca Violo.

In Italia veniva detto alle donne stuprate di sposare lo stupratore così veniva rispettata la famiglia che riconquistava la possibilità di essere accettata ed integrata dalla società.

Le mutilazioni genitali femminili (MGF) costituiscono una violenza di genere gravissima che necessità di tutti i nostri sforzi e delle politiche sistemiche idonee a contrastarle e richiede un cambiamento culturale.

Altra disparità di genere si può ravvisare sui libri, dizionari, giornali, media, social, dichiarazioni di imprenditori, politici, artisti, insegnanti, datori di lavoro, genitori etc.; spesso vi è un uso improprio e sessista e, dunque, discriminatorio della lingua, o delle immagini che celano molte volte errati stereotipi o significati discriminatori o ideologie sessiste, sovente tollerati dalle stesse donne e in alcuni casi neppure percepiti dalle stesse.

Dobbiamo, quindi, incoraggiare e rafforzare nella società tutte le azioni positive volte per rivendicare un ruolo paritario nella famiglia, nel lavoro, nella rete amicale, nelle scuole e nella società.

È necessario elaborare sinergicamente una cultura adeguata dell’uguaglianza e promuovere il valore del rispetto e della educazione alla parità per una società più eguale ed inclusiva sin dai primi anni di età e soprattutto nelle scuole perché gli effetti della violenza di genere si ripercuotono sul benessere dell’intera comunità.

L’ineguaglianza rappresenta, infatti, un deficit per la nostra economia; se non vi è parità non vi potrà mai essere una società sostenibile, solidale, equa nonché idonea a garantire una coesione sociale.

Solo collaborando uniti insieme si potrà eradicare tutte le forme di violenza e di diseguaglianze di genere.

Dobbiamo dire, dunque, basta alla violenza e alla discriminazione e iniziare a colorare il mondo di arancione, così come suggerisce l’ONU, per combattere la discriminazione e la violenza sulle donne e sulle ragazze -al momento quella più diffusa e manifesta- con la speranza che si possa tinteggiare quanto prima l’intera umanità con il colore bianco della trasparenza, della purezza e delle pari opportunità senza avere paura dell’indifferenziazione.

La differenza dei sessi è «un dato di fatto ma essa non predestina ai ruoli e alle funzioni. Non esiste una psicologia femminile e una maschile impermeabili l’una all’altra, né due identità incise nel marmo. Una volta acquisito il senso della propria identità, ogni adulto ne fa ciò che vuole o ciò che può. Mettendo fine all’onnipotenza degli stereotipi sessuali, si è aperta la strada al gioco dei possibili. Ciò non significa, come ha detto qualcuno, l’instaurarsi del regno dell’unisesso. L’indifferenziazione dei ruoli non significa l’indifferenziazione delle identità. Al contrario è la condizione della loro molteplicità e della nostra libertà» (Badinter E. 2004 La strada degli errori. Il pensiero femminista al bivio, Feltrinelli, Milano).

Solo attraverso la completa emancipazione femminile si potrà un giorno inorridire pensando a queste forme attuali di disparità, così come quando rileggiamo la sentenza della Corte d’Appello di Torino, pronunciata nel 1883, con la quale accolse la richiesta del procuratore generale del Re di cancellare l’avvocata Lidia Poët dall’albo professionale, confermata anche dalla Corte Suprema di Cassazione, per via della c.d. infirmitas sexus

La Corte precisò, in particolare che:«l’avvocheria è un ufficio esercibile soltanto da maschi e nel quale non devono punto immischiarsi le femmine…disdicevole e brutto veder le donne discendere nella forense palestra, agitarsi in mezzo allo strepito dei pubblici giudizi, accalorarsi in discussioni che facilmente trasmodano, e nelle quali anche, loro malgrado, potrebbero esser tratte oltre ai limiti che al sesso più gentile si conviene di osservare: costrette talvolta a trattare ex professo argomenti dei quali le buone regole della vita civile interdicono agli stessi uomini di fare motto alla presenza di donne oneste» !

Invochiamo, pertanto, nel giorno della nostra Festa il motto della stimata pioniera avvocata Elisa Comani:«unite, vinceremo»!

 

Caterina Biafora

Avvocato

 

 

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