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Ugo Patroni Griffi: blue economy e semplificazioni, per combattere arretratezza dei nostri porti

Investire in infrastrutture nel Mezzogiorno è doveroso. Sia per elidere il pluridecennale gap infrastrutturale – in termini quantitativi, ma anche e soprattutto qualitativi - con il nord del nostro Paese, sia e soprattutto perché è un ottimo investimento per l’Italia, dacchè anche a distanza di tempo dalla realizzazione dell’opera rimane ancora elevato il moltiplicatore fiscale.

 Il Mezzogiorno presenta un divario infrastrutturale evidente: strade, autostrade, ferrovie, porti ed aeroporti.

Devono in particolare essere adeguatamente infrastrutturati i grandi assi longitudinali (ad esempio il corridoio adriatico che meriterebbe, e a ragione, di essere incluso nelle reti Ten-T, e che ancora oggi è mortificato da una linea ferroviaria inadeguata, non solo non ad AV ma addirittura, e in alcuni significativi tratti, a binario unico con tutto ciò che ne consegue sulla mobilità di passeggeri e merci), ma anche i “corridoi trasversali” che uniscono l’Adriatico e il Tirreno e che potrebbero offrire al mercato una conveniente alternativa intermodale (mare, ferro, gomma) ai tradizionali collegamenti East-West. In questa prospettiva grande valore assume il collegamento tra Bari e Napoli (e non solo la ferrovia ad alta capacità, ma la riqualificazione dell’autostrada dei due mari che oggi, unica autostrada in Europa, ha ampi tratti in cui il limite di velocità è di 60 km all’ora!), nonché il corridoio su ferro tra Brindisi/Taranto e Gioia Tauro. I corridoi “trasversali” e quelli longitudinali racchiudono una Area Logistica Integrata con ampie possibilità di sviluppo. Sotto il profilo economico va sostenuto lo sviluppo di queste aree: aggiungendo al ferrobonus statale adeguate risorse regionali (ferrobonus regionale), esentando il traffico che utilizza i corridoi trasversali da limitazioni quantitative e dal pagamento di diritti (cosiddette ‘dosvole’), sostenendo la realizzazione di una rete distributiva di GNL nel meridione (dove sono ancora pochissime le stazioni di rifornimento sebbene oltre il 99% delle merci circoli su gomma e la transizione al GNL potrebbe contribuire tanto a ridurre i costi dell’autrasporto, quanto a ridurne le esternalità ambientali), e in prospettiva la produzione di biocarburanti (circular economy) quali in particolare l’e-diesel. Il bio-gnl e la bio-ammoniaca.

Sotto il profilo della portualità il problema non è rappresentato tanto dalle risorse, quanto e invece dalla farraginosità delle procedure per la realizzazione delle opere. Solo in parte attenuata dal decreto semplificazioni emanato ad agosto 2020. Infatti i tempi di ‘attraversamento’ sono ancora biblici (per le opere maggiori, che sono anche le più urgenti e necessarie, la media è superiore ai 15 anni!!!) e a ragione non solo dell’amplissimo perimetro delle amministrazioni coinvolte nel procedimento autorizzativo delle opere portuali, del moltiplicarsi delle procedure valutative, ma soprattutto della sussistenza per molte amministrazioni di termini meramente ‘ordinatori’ e non ‘perentori’ per la richiesta di chiarimenti ed integrazioni documentali, e per la non generalizzata applicazione dell’istituto del silenzio/assenso.

Tra le opere maggiormente in affanno vanno annoverati i dragaggi. La principale opera portuale, essenziale al mantenimento dell’efficienza dell’infrastruttura e funzionale all’attrattività della stessa sul mercato. Infatti è regola dell’economia marittima che è il porto a  doversi adeguare alle navi, e non viceversa. Considerazione affatto banale considerata la tendenza al cosiddetto ‘gigantismo’ navale. All’aumento della stazza (e dei pescaggi) del naviglio in ogni settore dell’economia marittima: trasporto di merci e di persone. Qui la causa dell’arretratezza dei nostri porti è dovuta alla legislazione.  Sino all’entrata in vigore della l. 84/94 il volume di sedimenti dragati nei porti italiani era del tutto comparabile a quello dei porti degli altri Paesi europei. E infatti i porti vi provvedevano attraverso servizi ‘in house’ il noto Servizio Escavazioni Porti. Dal 1994 le competenze in materia di escavi sono attribuite alle regioni che in taluni casi le hanno delegate alle Provincie, sono previste numerosissime autorizzazioni (dalla Bonifica Ordigni Bellici, alla validazione dei piani di caratterizzazione e monitoraggio da parte di agenzie regionali e nazionali, alla autorizzazione relativa al luogo di conferimento dei sedimenti etc), che si arricchiscono di passaggi burocratici nei porti che ricadono in SIN. Il tutto aggravato dalla carenza di una disciplina sull’”end of waste” che impedisce, se non in modalità assolutamente limitative (ripascimento o conferimento in strutture di contenimento) lo sfruttamento del sedimento in una ottica di blue o circular economy. Il tema, unitamente a quello delle semplificazioni dei procedimenti autorizzatori (l’appalto è, al contrario di quanto comunemente si creda, il minore dei problemi) attualmente all’attenzione del Ministro Giovannini, che ha dichiarato di volerlo affrontare e risolvere anche perché strettamente collegato ai ridotti termini concessi dall’Europa per realizzare le opere pubbliche finanziate dal Recovery fund (vanno completate entro il 2026!!!).

Lo sviluppo della portualità necessita però anche un sistema economico ‘retroportuale’ vivo e in crescita. L’intuizione delle Zes era del tutto corretta. Tuttavia il ‘pacchetto localizzativo’ offerto agli imprenditori è ancora insufficiente. Le Zes dovrebbero offrire al mercato (e si consideri la grande opportunità del reshoring, imprese che dopo aver delocalizzato – in considerazione della fragilità della supply chain messa a nudo dalla pandemia – ricercano opportunità per ricondurre in Europa i propri stabilimenti). Dovrebbero dunque essere aumentati gli elementi di attrattività (semplificazioni, flessibilità dei rapporti di lavoro, incentivi fiscali etc.). Nel confronto con gli investitori esteri l’accento è spesso caduto sulle semplificazioni. Gli investitori ricercano un unico interlocutore (il comitato di indirizzo potrebbe esserlo) e soprattutto una procedura unitaria per l’ottenimento delle autorizzazioni all’investimento. Sul punto sussiste una proposta condivisa da Assoporti con la Conferenza delle Regioni su cui da notizie stampa sembra stia lavorando il Ministro Carfagna. Nelle Zes, attualmente, reale attrattività per gli investimenti viene rappresentata dalle ZDI (Zone Doganali Intercluse), particolarmente idonee a captare le richieste di reshoring specie se dirette al manifatturiero di autentico, ma competitivo, made in Italy (e quindi di contrasto al pernicioso fenomeno dell’Italian sounding).

 

Ugo Patroni Griffi

Presidente dell'Autorità di sistema portuale del mare Adriatico meridionale

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